Mi presento: sono Marisa Valenti.
Vi voglio far rivivere un pezzo di storia contadina di Mesero, fine anni ’50.
Sembra un altro mondo ma tutto sommato sono passati poco più di 50 anni.
Adesso la vita è completamente diversa ma i ricordi dolci di quei tempi sono piacevolmente impressi nella mia memoria.
La “fattoria” a Mesero si chiamava cascina.
La Via Silvio Pellico non aveva nome, era una strada di campagna con tre cascine. In fondo a destra c’era quella del mio nonno Gin (Luigi Valenti) e io sono nata lì.
Adesso è ristrutturata e ci abita mio cugino.
Ai lati della strada c’erano le piante di robinie, fitte e in alcuni punti, in alto, si toccavano e il sole d’estate faceva fatica a passare. Sembrava di entrare nel bosco delle favole.
Ricordo la casa: la cucina grande al piano terra, la camera sopra, in mezzo la scala che portava al piano superiore e a destra altrettanto, dove abitavo io, mia sorella e i miei genitori.
Sulla sinistra c’era la stalla con la mucca che faceva il latte, e il vitello; più in là una stanza che fungeva da magazzino. Sopra c’era il fienile e un grande porticato dove in autunno, tutti seduti in cerchio, sfogliavamo il granoturco.
C’era il pollaio con le galline, i conigli e i tacchini. All’esterno l’orto e tante piante da frutto.
Al centro un bel cortile e a sinistra l’aia, dove si metteva il granoturco a seccare al sole. Qualche volta, su nostra insistenza, anche noi bambini partecipavamo alla vita della fattoria e a piedi nudi facevamo le strisce nel granoturco che servivano per girarlo e farlo seccare meglio. Che bellezza!
Intorno e dietro alla cascina c’erano i campi.
Il campo qui a Mesero si chiamava “a vigna”. Oltre a coltivare il frumento, il granoturco, l’erba che poi seccata diventava fieno per gli animali, tra un campo e l’altro c’erano i filari di uva, bianca e nera, e in autunno si raccoglieva e si pigiava con i piedi per ricavarne il vino.
Il vino era il “baragioeu” alla francese, e serviva per la famiglia durante tutto l’anno.
Per quanto riguarda il vino ho un ricordo in particolare.
Dopo la vendemmia, succedeva che per una settimana si facevano le pulizie generali, dentro e fuori casa, perché a un giorno stabilito arrivavano le Suore e il Parroco di allora che era Don Giuseppe Airaghi.
Io mi rivedo che mi nascondo dietro le gonne della mia nonna Tuna (Fortunata Garavaglia) nel vedere le Suore entrare dal cancello.
Era una visita di cortesia e alla fine al Parroco venivano donate delle bottiglie di vino bianco, “senza una goccia d’acqua” diceva il mio nonno Gin, perché dovevano servire per celebrare la Messa.
di Marisa Valenti
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